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Animali un tempo ritenuti mostri leggendari

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Altro ripescaggio dal vecchio blog. Questa volta si tratta di un articolo criptozoologico/scientifico. Mi spiace solo aver perso le fonti di riferimento, ma se le ritroverò non mancherò di segnalarvele.
La criptozoologia è un tema interessante, soprattutto se spogliato dai suoi aspetti più “weird” (avvistamenti di Bigfoot, di Chupacabras etc etc). Mi piacerebbe tornarci in futuro con qualche nuovo post, anche perché gli spunti narrativi potrebbero essere davvero tanti. Semmai fatemi sapere se l’argomento vi interessa o meno, che un po’ di materiale da parte io ce l’ho.
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Dopo aver parlato di animali estinti e – più volte – di criptidi, è arrivato il turno di parlare di animali un tempo creduti leggendari. Ovviamente i maggiori riferimenti in materia li abbiamo dai bestiari medioevali, e dai diari di bordo delle varie spedizioni navali che esploravano terre a quei tempi sconosciute.
Mancando del raziocinio scientifico dei tempi moderni, era certo facile identificare creature appartenenti a poemi epici (draghi, basilischi, unicorni), o alla mitologia classica (chimere, kraken etc). Provate a immagire cosa dovevano pensare dei marinai del ’500 nel trovarsi davanti un ippopotamo inferocito. Di certo era più facile immaginarlo come un mostro partorito dall’inferno, che non come un animale calato nel suo ecosistema.

Calamaro Gigante

I calamari giganti, ritenuti un tempo creature mitiche, sono calamari della famiglia Architeuthidae, composta da circa otto specie del genere Architeuthis. Sono abitanti delle profondità oceaniche che possono raggiungere dimensioni immense: stime recenti parlano di dimensioni massime di 13 metri per le femmine e di 10 metri per i maschi, dalla pinna caudale fino all’estremità dei due lunghi tentacoli.
I racconti di calamari giganti erano comuni tra i marinai fin dai tempi antichi e questi possono aver portato alla leggenda norvegese del kraken, un mostro marino tentacolato grande quanto un’isola capace di ingolfare ed affondare ogni nave. Japetus Steenstrup, il descrittore dell’Architeuthis, suggerì che un calamaro gigante fosse la specie descritta come monaco di mare dal re danese Cristiano III nel 1550 ca. Anche l’esistenza del Lusca dei Caraibi e della Scilla della mitologia greca può trarre origine dagli avvistamenti di calamari giganti. Si pensa che anche gli avvistamenti di altri mostri marini, come il serpente marino, possano essere stati interpretazioni erronee di incontri con calamari giganti.

Ippopotamo

Si è a lungo ritenuto che la famiglia degli ippopotami avesse origine dallo stesso ceppo da cui derivano, da un lato, i suidi (maiali, cinghiali ecc.) e, dall’altro, i ruminanti (per esempio, cervidi e bovidi).
Gli studi più recenti sulle origini degli ippopotamidi suggeriscono che ippopotami e cetacei condividano un antenato comune semi-acquatico che si sarebbe differenziato dagli altri Artiodattili circa 60 milioni di anni fa, per poi dar vita, circa 54 milioni di anni fa, a due branche distinte , da una delle quali si evolsero i cetacei.
Gli ippopotami abitavano un tempo la bassa valle del Nilo. Per gli antichi Egizi, il loro aspetto tondeggiante e massiccio evocava una dea della fecondità, e sotto queste sembianze vennero spesso rappresentati nei bassorilievi.
Un’azzeccata descrizione tratta dal bestiario noto come Liber monstrorum (VIII secolo d.c.) li descrive così: “Si dice che in India ci siano gli ippopotami, belve più grandi degli elefanti, che, dicono, abitano in un fiume dall’acqua impotabile. E si narra che una volta in una sola ora abbiano tratto nei rapaci vortici dei gorghi trecento uomini e che li abbiano divorati in una morte crudele.

Rinoceronte Indiano

La fonte occidentale più antica che cita per nome questa creatura mitizzata è Sulla natura degli animali, un’opera di zoologia in diciassette volumi redatta da Claudio Eliano, scrittore in lingua greca degli inizi del III secolo.
Eliano lo descrive come un unicorno delle dimensioni pari a quelle di un cavallo, con le zampe di elefante, la coda caprina, e un unico corno nero centrale ritorto sulla fronte. La creatura, veloce e bellicosa, vive nelle regioni aride e montuose dell’India. Si tratta di luoghi, precisa Eliano, “inaccessibili agli uomini” e “popolati da innumerevoli creature selvagge che gli storici e i sapienti del luogo, tra cui i Brahmani, cercano di classificare“[...]“Il nome che danno a questo animale è kartazon“.
Un carattere centrale del mito dell’unicorno, soprattutto nel medioevo europeo, è costituito dalle virtù curative del suo corno frontale, ma il kartazon ovviamente non presenta alcun carattere magico o sovrannaturale.
Incontriamo il rinoceronte/unicorno della letteratura islamica nel viaggio di Sindbad il marinaio contenuto ne Le mille e una notte del X secolo, in cui viene descritta una creatura chiamata karkadann.
La descrizione dell’animale è simile a quella di Eliano, ma ne vengono evidenziate le enormi dimensioni e la feroce lotta con l’elefante. Il karkadann è acerrimo nemico dell’elefante che carica a vista e, spesso, incorna a morte, ma non riuscendo, successivamente, ad estrarre il corno dal corpo dell’elefante finisce per soccombere anche lui, accecato dal grasso che cola dalla ferita a causa del calore del sole.

Varano di Komodo

Il Varano di Komodo o Drago di Komodo (Varanus komodoensis) è il più grande sauro vivente, un rettile che può raggiungere lunghezze superiori ai due metri. Morfologicamente assimilabile a una lucertola di grandi dimensioni, ha la lingua biforcuta, la pelle squamosa tendente all’azzurrognolo, è carnivoro e molto aggressivo.
Nel XIX secolo i marinai e i pescatori delle isole di Flores e Sumbawa narravano spesso storie fantastiche di uomini e animali assaliti e sbranati da grandi draghi che vivevano nella piccola isola di Komodo, un lembo di terra caratterizzato da una superficie di appena 600 chilometri quadrati e situato nell’Arcipelago della Sonda. D’altra parte, molti dei nativi delle due isole indonesiane erano così sicuri dell’esistenza dei giganteschi draghi – o “Boeja darat”, cioè coccodrilli di terra – che non avevano nemmeno il coraggio di approdare sulle coste di Komodo.
Evidentemente un fondamento di verità esisteva nelle “leggende” raccontate dagli abitanti di Flores e Sumbawa, e ciò indusse Peter A. Ouwens, direttore del Giardino botanico di Buitenzorg (Giava), a organizzare nel 1912 una spedizione nell’isola stessa, con l’intento primario di osservare e catturare qualche esemplare del mitico rettile che tanto timore incuteva alle popolazioni locali. Ouwens riuscì nell’impresa: le sue minuziose ricerche, condotte in varie località di Komodo, gli fruttarono infatti quattro individui del supposto drago. Questo era in realtà un varano di dimensioni imponenti e apparteneva a una specie nuova per la scienza, cui fu assegnato appunto il nome di Varanus komodoensis.
Il clamore suscitato negli ambienti scientifici dalla notizia relativa alla scoperta del drago di Komodo fu grande, e nel 1926 anche lo staff del Museo di Storia Naturale di New York decise di organizzare una spedizione a Komodo, al fine di studiare la biologia del grande varano e di catturare alcuni esemplari della specie medesima. La spedizione – a cui parteciparono Dunn, uno dei più noti erpetologi degli Stati Uniti, il cacciatore indocinese Defosse, il quale aveva il compito di prendere i varani utilizzando delle trappole particolari, e la fotografa Burden – fu autorizzata e appoggiata dal governo olandese, che in quegli anni reggeva amministrativamente le isole dell’Arcipelago della Sonda, e permise di compiere tutta una serie di osservazioni originali sull’ecologia e sull’etologia della specie. Grazie alla cattura di dodici esemplari morti e due vivi, fu inoltre possibile intraprendere studi approfonditi sull’anatomia e sulle caratteristiche morfologiche e cromatiche del gigantesco sauro della piccola isola indonesiana.


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Felini spettrali

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Il post di oggi va a catalogarsi nella sezione “misteri”, ma in realtà siamo molto più vicini alle fantasie di certi racconti fantahorror. Va da sé che con questa premessa vi invito a prendere le informazioni che seguiranno con le molle. Anzi, consideratela vera e propria fiction, con un attinenza al reale prossima allo zero.
Di cosa parliamo? Di grandi felini che appaiono e scompaiono in zone molto lontane dal loro habitat naturale. I criptozoologi parlano di “felini spettrali”. Le teorie riguardanti questo fenomeno sono tutte molto… folkloristiche.
Partiamo però da un po’ di dati statistici. Per esempio quelli che riguardano molteplici avvistamenti di pantere, tigri, giaguari e leopardi ben lontani dalle regioni in cui vivono abitualmente. Tra Francia, Germania, Regno Unito e Nord America ci sono migliaia di segnalazioni riguardanti episodi di questo genere. Nella sola Inghilterra abbiamo oltre 100 avvistamenti classificati, dal 1970 a oggi.
Anche in Italia ogni tanto si registra qualche fenomeno di questo tipo. Capita che anche i telegiornali ne diano notizia; magari vi è capitato di ascoltarle, di tanto in tanto. Spesso e volentieri gli avvistamenti di tigri e pantere vengono imputati a bestie fuggite da qualche zoo o da ricchi idioti che hanno contrabbandato queste belve di frodo.
Nel 99% dei casi sono spiegazioni più che sacrosante e plausibili. Nel rimanente 1% dei casi questi grandi felini non vengono mai trovati. Al massimo lasciano dietro di sé qualche fotografia sgranata scattata da fortunati passanti e delle carcasse di piccoli animali mangiati nel loro vagabondare.
Allucinazioni estive? Probabile. Ma c’è anche chi dà una spiegazione decisamente più weird.

Ok, facciamola semplice: per alcuni studiosi del mistero i grandi felini colpevoli di tali comparsate “fuori posto” altro non sarebbero che alieni. Non solo: sarebbero creature molto ben definite, provenienti da una dimensione attigua alla nostra, in grado di passare da una parte all’altra con estrema facilità. Essi – i felini spettrali – sarebbero anche in grado di rendersi invisibili a volontà. O forse per invisibilità s’intende una forma di mimetismo tale da risultare quasi perfetta. Anche presente il Predator dell’omonimo film, no?
I suddetti studiosi hanno anche qualche strumento per cercare di dare valenza alla loro teoria. Innanzitutto si rifanno all’atavica peculiarità umana di divinizzare gli spiriti di alcuni fieri animali. Una forma di animismo antichissimo, proprio di molte tribù primitive e di certo non sconosciuto, tra gli ultimi, ai Pellerossa.
Non sono certo poche le leggende e le credenze popolari che parlano proprio di spiriti di grandi felini, venerati ed evocati in aiuto da guerrieri, governanti e sacerdoti. Basti pensare al Dio-Giaguaro adorato dai maya e dagli olmechi. Non a caso a caso era una divinità dalla duplice personalità: sotto il suo aspetto visibile ed esteriore, incarnava le forze della terra; sotto il suo aspetto nascosto, sotterrato nella sua tana, incarnava le forze del sottosuolo.

I cani neri sono così radicati nell’immaginario britannico che è possibile trovare molti pub che ne ricordano la leggenda.

Altri ricollegano i felini spettrali a una casistica di credenze popolari che furoreggiava nel medioevo, tra l’altro proprio qui in Europa: le apparizioni dei Cani Neri. Diffusissimi soprattutto nelle isole britanniche, i Cani Neri sono descritti come esseri soprannaturali dalla forma di grossi cani, con occhi fiammeggianti e pelo irsuto, dal colore nero o verde fosforescente. Sono fantasmi ritenuti messaggeri dell’oltretomba, quindi di cattivo augurio.
Possibile dunque che i Cani Neri e i felini spettrali siano creature appartenenti proprio a quella dimensione delle ombre a cui fanno riferimento i nostri amici studiosi dell’occulto?
Di certo ci viene incontro un noto gioco di ruolo, Advanced Dungeons & Dragons, in cui entrambi gli esseri appartengono al bestiario ufficiale: i mastini d’ombra e le bestie (o pantere) distorcenti.

Tralasciando questi aspetti folkloristici, concentriamoci infine sulle motivazioni che spingerebbero tali creature a spingersi sul nostro piano d’esistenza (sì, parlo come un dungeon master, ne prendo atto). I loro scopi, per quanto misteriosi, sarebbero i soliti: spiarci, tenerci d’occhio e, almeno in passato, farsi venerare alla stregua di divinità. Dando credito ad altre ipotesi gli alieni-felini sarebbero addirittura nostri protettori, invisibili alleati contro altre civiltà spaziali/dimensionali decisamente più ostili e bellicose.
Secondo alcuni ufologi contattisti la dimensione (o il pianeta) di provenienza dei felini spettrali sarebbe ben noto a diversi sensitivi entrati in comunicazione con loro: tre soli, ventisette pianeti, un’evoluzione sviluppata in modo totalmente differente dalla nostra. Un sistema solare dunque pieno di luce, la cui vita si concentra su un pianeta roccioso grosso otto volte la Terra.
Clima caldo, atmosfera di colore azzurro-elettrico a causa del forte irraggiamento solare, otto continenti circondati da dodici oceani, montagne alte fino a 30.000 metri.
La civiltà degli alieni-felini sarebbe molto evoluta, tanto da aver sfruttato gli altri pianeti del loro sistema solare, recuperando materie prime e stabilendo colonie. Governati da un senato eletto su base democratica, i felini sarebbero maestri di ingegneria genetica, grazie alla quale hanno creato migliaia di forme di vita senzienti, tra cui dei “robot biologici” usati come manovalanza per creare le loro enormi città a pianta triangolare.

Non vi è venuta voglia di scrivere un romanzo di fantascienza? A me sì.

Miniatura di Displacer Beast.


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The Lost Dinosaurs (2012): Recensione

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The Lost Dinosaurs
di Sid Bennett
UK 2013

Sinossi

The Lost Dinosaurs racconta, attraverso immagini riprese direttamente dai protagonisti della vicenda, un viaggio spaventoso nel cuore della giungla congolese. Esseri terrificanti, creduti estinti da 65 milioni di anni, danno del filo da torcere ad un gruppo di ricercatori partiti per una spedizione scientifica. Di loro non rimane nessuna traccia al di fuori di una serie di filmati, più di 100 ore di video, rinvenuti per caso in un fiume da due pescatori congolesi. Che fine avrenno fatto?

Commento

The Lost Dinosaurs è l’ennesimo mockumentary che arriva al cinema, spacciato (ovviamente per mero scopo di trama) per un found footage assemblato da oltre 100 ore di filmati girati da una spedizione della British Cryptozoological Society, e ritrovate nel cuore del misterioso Congo.
Meglio dunque precisarlo subito: abbiamo a che fare con uno di quei film girati con (finte) videocamere a mano, sulla falsariga di Cloverfield, The Blair Witch Project, Diary of the Dead, REC e chi più ne ha più ne metta. In realtà il film di Sid Bennett ci offre delle riprese spesso troppo pulite e chiare, tanto che difficilmente possono passare per dei video amatoriali ripresi nel bel mezzo di una spedizione esplorativa.
Sapete cosa vi dico? Meglio così. Il film risulta più comprensibile degli altri citati, e si riesce ad arrivare alla fine senza il consueto “mal di mare” da mockumentary.

Per quanto riguarda la trama, non abbiamo a che fare con nulla di particolarmente originale. The Lost Dinosaurs richiama molto da vicino alcuni super-classici del filone fantastico/avventuroso, in primis Il Mondo Perduto (e relativi sequel, reboot, cloni). Solo lo spunto di partenza risulta essere singolare: i criptozoologi britannici partono alla volta del Congo alla ricerca del Mokele Mbembe, un presunto “fossile vivente” che fa realmente parte del folklore locale. Il Mokele Mbembe, esattamente come il mostro di Lochness, è stato avvistato decine di volte nelle paludi del Likouala, tanto che per alcuni si tratterebbe di un dinosauro scampato all’estinzione della specie.

The Lost Dinosaurs

Facile immaginare lo svolgimento del film da qui in poi.
La troupe subisce un incidente in volo (l’elicottero viene attaccato da dei piccoli dinosauri volanti) e precipita in un isolotto sconosciuto, nel bel mezzo del Likouala. Qui sopravvivere un particolarissima biosfera, dove alcune specie di dinosauri preistorici si sono salvati dal cataclisma che spazzò via i grandi rettili, milioni di anni fa. Ai membri della troupe toccherà fare la conoscenza con queste creature, alcune innocue e altre… decisamente più aggressive. E avanti così, col classico canovaccio del gruppo che viene mano a mano decimato dalle insidie dell’isola (e dai dissidi interni della troupe).

Nulla di nuovo, come vi dicevo, ma comunque sufficientemente godibile.
Per limiti di budget gli effetti speciali sono più del tipo vedo-non-vedo, quindi non aspettatevi i bestioni in stile Jurassic Park, che rincorrono per ore i protagonisti, in tutta la loro titanica bellezza. Però consoliamoci: a differenza di altri mockumentary, i “mostri” compaiono diverse volte sul grande schermo, così non si arriva alla fine degli 83 minuti di film con la sensazione di essere stati presi per il naso.
Filmetto non trascendentale ma divertente. Attori sconosciuti, regia interessante, attualizzazione del tema sempre affascinante della “valle perduta”.
Vale una visione, se non al cinema almeno su altri media.
Sono curioso di sbirciare gli incassi di questo filmetto, girato con quattro soldi e tutto sommato dignitoso.
A meno che non odiate questi finti documentari, ovviamente. Il che, tra l’altro, sarebbe anche comprensibile.

The Lost Dinosaurs 2
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Una gallery di criptocreature

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Cripto Tritoni e Satiri del Mare - Caspar Schott (1622)

Lo avete capito: ad agosto si risparmiano parole e si punta su altri media, almeno quando è possibile farlo.
Per l’occasione, essendo il giovedì il giorno dedicato alla rubrica degli articoli divulgativi, ho deciso di regalarvi una piccola gallery fotografica dedicata ad alcuni notevoli avvistamenti e reperti di criptidi.
Nel primo caso (gli avvistamenti) si tratta celebri casi risalenti a un periodo che va dal 1500 al 1800. Dai racconti dei marinai sono stati ricavati i bozzetti che pubblico oggi. Nel secondo caso (i reperti) si tratta di carcasse ritrovate in spiagga o al largo, in vario stato di decomposizione, e non classificate con matematica certezza dai biologi.
Un tempo queste creature venivano chiamate genericamente “mostri marini” o plesiosauri.
Ora sono oggetto di studio da parte dei seri criptozoologi.

Criptocreature

Barbed Cow - by Conrad Gesner (1558) Basking Shark (unknow date) Cow Fish - by Gabriel Rebelo (1561) Henry Island Monster (1934) New south wales carcase (1960) Querqueville Monster (1934) Sea Beast by Ulisse Aldovrandi (1638) Sea Serpent, by bishop Erik Ludvigsen Pontoppidan (1755) Tritoni e Satiri del Mare by Caspar Schott (1622)

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Dai gattini di Facebook a Mammone

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alice-in-wonderland-cheshire-cat-skin

Se volete avere un sicuro successo aprite un blog con sole immagini di gattini.
Anzi, il blog può essere complicato da gestire. Vi consiglio di aprire una pagina Facebook e di sovraccaricarla di foto di micetti di qualunque razza e colore. Meglio se buffi e dall’aria bizzarra, come il Grumpy Cat (verso il quale provo un sano e duraturo odio).
I gattini, ancor più dei cani e di altri animali, attirano i curiosi e gli internauti pigri. Senza contare i bimbiminkia e altre categoria diversamente umane.
Se volete fare gli alternativi, potete invece aprire un sito dedicato al buon vecchio Gatto Mammone. Che è assai poco puccioso, e anche molto più cattivo di quell’obbrobrio del Grumpy Cat. Infatti è anche l’unico micio che mi ispira sufficiente simpatia da dedicargli un articolo: questo.

Ma cos’è il Gatto Mammone?
Secondo il folklore di molti paesi (compreso il nostro) si tratta di una creatura magica dall’aspetto terrificante, e di natura infernale.
Le origini di questo essere affondano nell’Antico Egitto, civiltà che non a caso aveva un particolare riguardo verso i felini. A quei tempi Mammone era considerato un gatto dai poteri soprannaturali, ma non necessariamente malvagi, tanto che per alcuni sacerdoti rappresentava la fertilità.
Solo molto più tardi, con l’affermarsi del Cristianesimo, il temibile gattone divenne uno dei tanti spauracchi da temere e da esorcizzare con preghiere, processioni e digiuni.

Sta di fatto che anche qui da noi, in Italia, le segnalazioni di Mammone sono andate moltiplicandosi per decenni, tanto che tuttora sono ben presenti le prove delle leggende che parlano di questa creatura. A Iglesias, in Sardegna, esiste una scultura orribile, il Maimoni, che nel dialetto locale viene citata come sinonimo di bruttezza senza pari.
In Ogliastra il Maimòne è un fantoccio fatto con stracci e pelli di gatto e con una testa dai tratti del gatto, personificazione del Carnevale, ma esiste anche una personificazione del Martedì grasso: Martiperra (da Martis/martedì e Perra dallo spagnolo emperrarse “adirarsi, irritarsi”), concepita come un gatto malevolo che assume proporzioni gigantesche per punire chi osa lavorare in quel giorno (cit. da Wikipedia).
Nel 1968 venne addirittura segnalato un Gatto Mammone vivente, in provincia di Belluno. Esso fu visto da Serafina dal Pont, intenta a pascolare le sue mucche. L’infernale felino sbucò dal nulla per spaventare le placide bestie. La donna si salvò evocando San Rita in preghiera, che mandò un topo per distrarre Mammone, che si perse nell’inseguimento del roditore.
L’evento venne riportato sui quotidiani locali e risultò così buffo che il grande Dino Buzzati ne ricavò un disegno commemorativo.

Bast (o Bastet).

Bast (o Bastet).

Ovviamente Mammone appare in molte operette, poesie e racconti della tradizione italiana, più o meno dal Duecento in poi. Ce n’è traccia anche ne Il Milione di Marco Polo, dove viene identificato/confuso con un misterioso, grande leopardo.
Ma della bestia incantata ci sono tracce anche nella letteratura tedesca (e in particolare nel Faust di Goethe) e nel celeberrimo romanzo Alice nel Paese nelle Meraviglie. Del resto che altro è lo Stregatto (il gatto del Cheshire) se non Mammone?

Dunque, se ancora volete postare foto di gatti e gattini, provate a pensarla così: magari la vostra ossessione un giorno vi farà trovare questa sulfurea bestiaccia sotto il letto.
Sicuri che vi vorrà fare le fusa?

Lo Stregatto.

Lo Stregatto.

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I criptidi giganti del Vietnam

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mostro del vietnam

Il Vietnam era quasi sconosciuto all’opinione pubblica, prima di essere interessato dall’omonima guerra.
Da allora, gradualmente, credo sia stato di nuovo dimenticato, tranne che dagli appassionati di Oriente. E dire che parliamo di Paese con un’economia in rapido sviluppo e con interessanti prospettive per il futuro. Cose che, a noi europei, cominciano ad apparire un poco utopistiche.
Eppure il Vietnam è un paese antichissimo, anche a livello geografico. Con la sua famosa giungla, ora diminuita di parecchi ettari, a causa della progressiva urbanizzazione del Paese, il Vietnam è stato per secoli un ecosistema tra i più variegati e interessanti.
Possibile che qualche strana specie animale abbia prosperato indisturbata nelle acque del Mekong, senza mai essere scoperta? Questo è l’interrogativo che si pongono i criptozoologici di mezzo mondo, riferendosi a tutti quelle aree fortemente “sospettate” di dare ospitalità a dei veri criptidi viventi.
Risposte certe non ne abbiamo, ma ogni tanto saltano fuori notizie strane e inquietanti. La vedete la foto di inizio post? Ebbene, si riferisce a una creatura vermiforme che, nel 2013 è stata rinvenuta morta, nei pressi del delta del fiume Mekong.

Non ho trovato molte notizie relative all’analisi post-mortem di questa enorme carcassa.
Sui siti di criptozoologia più attendibili si ipotizza che si tratti di una balena, avvelenata da scarichi tossici o forse malata, finita nel fiume e infine andata a morire vicino alla riva, dove decine di curiosi hanno scattato foto e girato filmati.
Altri esperti (o presunti tali) dicono invece che abbiamo a che fare con qualcos’altro. Già, ma con cosa? Difficile determinarlo, dalle sole immagini reperibili in Rete. Qualche buontempone lo paragona a un graboid, vale a dire uno dei vermi giganti della saga cinematografica Tremors.

Graboid

Ok, probabilmente si tratta davvero di una povera balena malata. Inutile dare spazio a spiegazioni forzatamente complottiste.
Però voglio sfruttare l’occasione per ricollegarmi a una storia di guerra che circolava tempo fa sui siti americani dedicati ai misteri.

Inizio anni ’70, giungla vietnamita. Un giovane caporale di fanteria degli USA avanza nella giungla, in cerca di eventuali infiltrazioni del nemico nel territorio controllato dalle truppe americane. Con lui ci sono quattro commilitoni, armati fino ai denti.
La missione di ricognizione pare procedere senza intoppi, finché le acque di un vicino corso d’acqua eruttano due creature dal corpo vermiforme, ma dotate di pseudopodi (o forse di strane braccia) con tanto di artigli. I mostri attaccano i soldati, che reagiscono aprendo il fuoco con gli M16.
I proiettili sono sufficienti a spaventare gli uomini-verme. Essi rinunciano al combattimento e fuggono di nuovo nelle acque fluviali. Nonostante tutto sembravano però illesi, anche se Gower scriverà nel rapporto di aver sparato oltre venti proiettile contro il suo bersaglio.

La storia ebbe una certa notorietà, in ambiente complottista. Se ne parlò perfino alla CNN, con intervista al diretto interessato.
Poi più nulla, com’era anche logico immaginarsi. In fondo la guerra del Vietnam ha già partorito fin troppi orrori, per preoccuparsi anche di mostri e di bizzarri esseri umanoidi.

Eppure, alla luce della recente comparsa della carcassa sputata dal fiume Mekong, mi è tornata in mente la storia del caporale Gower, che magari non era un visionario drogato, come fu giudicato all’epoca.

Graboid evolution

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I ragni giganti delle fogne di Tokyo

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 Ragno gigante

Per la rubrica sull’insolito e sul bizzarro, oggi vi regalo un breve articolo riguardante una leggenda metropolitana (ma sarà poi tale?) che arriva dalla capitale del Giappone.
Questa piacevole storiella risale al 1970. Un team di manutenzione del sistema fognario stava eseguendo un consueto check dei tunnel sotterranei, in cerca di guasti alle pompe idrauliche e cose del genere.
A un certo punto uno degli operai mette il piede in qualcosa di molliccio e appiccicoso. I colleghi puntano le torce e vedono qualcosa di inaspettato: un’enorme ragnatela, estesa per diversi metri quadri, che copre un intero passaggio laterale del tunnel che stanno percorrendo.
Quel tratto di canale fognario è disseminato di carapaci rinsecchiti di scarafaggi, ma anche di ratti mummificati.
Gli operai, spaventati, fuggono in superficie e riportano l’accaduto ai superiori.

Essendo giapponesi, e quindi meticolosi nello svolgere qualunque lavoro, la società che ha in gestione la rete fognaria organizza una ricerca del misterioso occupante della spaventosa ragnatela.
Altri operai, accompagnati da alcuni disinfestatori professionali, trovano numerosi rifiuti organici, pare anche di gatti randagi finiti in qualche modo nei tunnel di scarico.
Dalle rilevazioni fatte mettendo a confronto alcune caratteristiche ambientali (spessore della tela, morsi sulle carcasse dei ratti etc etc), i disinfestatori ipotizzano la presenza di un ragno dal diametro corporeo di circa 25-30 centimetri (zampe escluse). Una cosa mai vista prima in natura. Eppure la simpatica bestiola sembra aver abbandonata la tana.

Nonostante le ripetute ricerche, nessuno ha mai visto il cacciatore a otto zampe che aveva fatto di quel tratto fognario la sua personale dispensa. Che sia morto, oppure migrato? Chi lo sa.
Pare che questa non sia soltanto una leggenda metropolitana, anche perché le autorità cittadine di Tokyo conservano ancora i rapporti delle ricerche fatte in quell’occasione. O almeno così dicono certi forum di criptozoologia (io però non ho visto né una scansione né altro).

La notizia si inserisce in quello specifico filone di urban legends riguardanti le “fogne infestate”. Si va dagli alligatori di New York al Popolo Lucertola del sottosuolo californiano, senza dimenticare casi meno chiacchierati ma altrettanto inquietanti, come quello dell’invasione di ratti giganti nelle fogne di Teheran.

Man mano che le grandi metropoli si espanderanno sempre più verso il basso, oltre che in orizzontale, è lecito aspettarsi strane sorprese. Trivelle e operai finiranno per disturbare tane di animali la cui evoluzione parallela si è sviluppata per anni, lontana dagli occhi degli esseri umani.
Ce n’è abbastanza per scrivere decine di racconti del brivido. Ma forse questa volta la realtà non è poi tanto lontana dalla finzione letteraria.

ragno gigante 2

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I ratti mutanti di Teheran

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ratto gigante

Diversi rapporti da Teheran, Iran, descrivono ratti di super-dimensioni, che emergono dalle fogne per vagare nelle strade della capitale.
I testimoni oculari sostengono che alcuni esemplari arrivano a pesare fino a 11 chilogrammi. Una delle teorie riguardo a tale invasione ipotizza lo scioglimento massiccio delle nevi invernali, che avrebbe sollevato il livello delle acque fognarie, spingendo le bestiacce in superficie.
Non solo sono ratti di dimensioni abnormi, bensì presentano anche alcune caratteristiche fisiche insolite.
Il consiglio comunale di Teheran, per voce del responsabile del responsabile del Dipartimento dell’Ambiente, Ismail Kahram, ha dichiarato che tali topi potrebbero essere mutati, forse da sostanze chimiche confluite nelle fogne cittadine.
Kahram ha detto dei ratti:

Sono più grandi del normale e hanno un aspetto diverso. Si tratta di cambiamenti che normalmente avvengono in milioni di anni di evoluzione.  Questi ratti sono passati dai canonici 60 grammi a una media di cinque chili di peso. Molti gatti domestici sono più piccoli di loro.

Secondo un articolo del Huffington Post dal 3 aprile 2013, un certo dottor David Baker, ricercatore veterinario specializzato in roditori, si è dettoscettico riguardo la natura mutante dei ratti di Teheran. Ha suggerito invece che anche i comuni tipi di ratto possono raggiungere facilmente “grandi formati”, nelle giuste circostanze ambientali, e che esistono già vari tipi di topi giganti in tutto il mondo.
Baker ha anche aggiunto:

Durante il Medioevo si vociferava di terribili ratti neri, in Europa, abbastanza grandi da portar via bebè e neonati, probabilmente per divorarli nelle loro tane.

Uno dei presunti ratti mutanti di Teheran.

Uno dei presunti ratti mutanti di Teheran.

I ratti a Teheran sono così grandi che chi li vede si fa spesso prendere dal panico (o almeno così riportano alcuni media.
In risposta a questo “problema ambientale”, Teheran ha effettivamente messo insieme squadre di uomini armati di fucili di precisione, dotati di telescopi a raggi infrarossi, per la caccia notturna e lo sterminio dei roditori giganti.

Questa notizia, che vi ho riportato integralmente dal sito mysteriousuniverse.org, ricorda la celebre saga fanta-horror del compianto scrittore James Herbert. Si parte da I Ratti, storia di un’orda di ratti grandi quanto dei cani, che invade la placida e moderna Londra, per passare poi a L’Orrenda Tana, e quindi a Domain e The City (questi ultimi due sono inediti in Italia, se non sbaglio).
Romanzi semplici, se vogliamo anche un po’ rudi, ma anche veri e propri fili d’Arianna che hanno sdoganato un nuovo modo di scrivere horror, passando dal gotico alle ibridazioni tra orrore e fantascienza.

Ibridazioni, come i ratti di Teheran.

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Vulcani estinti e pesci mostruosi

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pesce sconosciuto

È noto che laggiù, sui fondali marini, ci sono tanti misteri quanti speriamo di scoprirne nello spazio, o quantomeno nel nostro sistema solare.
Se poi alle fosse oceaniche aggiungiamo alcuni vulcani estinti da cinquanta milioni di anni, abbiamo un quadro affascinante quanto un libro d’avventura. Ma questa volta è tutto vero.
Una spedizione del CSIRO – Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation – ha scoperto delle nuove specie di pesci a circa 150 miglia dalle coste di Sydney, proprio in prossimità di una piccola catena di vulcani sottomarini estinti.
Questa scoperta è soltanto un inaspettato, prezioso aspetto collaterale della missione scientifica, che aveva uno scopo più prettamente geologico.

Questi pesci, mostruosi nell’aspetto e molto piccoli nelle dimensioni, vivevano come simbionti con le larve di alcune aragoste. Essi sono piccoli, dotati di lunghe zanne e di una coda con tanto di aculeo. Minuscoli predatori fatti e finiti, di cui potrebbero esistere esemplari più grandi e minacciosi (per altri pesci, non certo per l’uomo, unico vero elemento alieno di quella porzione di mondo subacqueo).

Pesce Goblin.

Pesce Goblin.

Ogni qual volta qualche spedizione si spinge in qualche profondità oceanica inesplorata si imbatte in scoperte di questo genere.
È proprio così che abbiamo fatto conoscenza con creature dall’aspetto mostruoso e dai nomi bizzarri, come il pesce blog, il pesce goblin, il pesce ascia, il diavolo nero, l’anguilla pellicano (la cui forma ricorda in un certo senso l’alien dell’omonimo film) o il calamaro vampiro.

Un tempo – tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90 – il cinema del fantastico si interessò molto ai misteri degli oceani inesplorati. Per questo motivo nacquero film come Alien degli Abissi, Leviathan, La Cosa degli Abissi, Deep Star Six. Forse il b-movie più a tema è però Deep Rising, prodotto qualche anno più tardi (1997) e ambientato su una nave da crociera presa d’assalto da orribili e voraci creature nascoste sui fondali dell’Oceano Pacifico.

Questa vena hollywoodiana del cinema fantahorror sembra estinta oramai da tempo, ma sarebbe bello se qualcuno provasse a ricavarne qualcosa di nuovo.
O anche qualcosa di vecchio, ma fatto bene.

Anguilla pellicano.

Anguilla pellicano.

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Morbidus e il mostro marino

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sea monster

Morbidus e il mostro marino – Jean de Wavrin.
Raccolta delle cronache d’Inghilterra.
Francia, Olanda e Bruges (1470-1480)

Allegorica o meno che sia, questa immagine mi ha catturato fin da subito, dopo aver trovata per caso su Pinterest.
Questo dipinto racconta la storia del mostro marino Bellua (che vuol dire “bestia selvaggia”, ma anche “bruto”), che dal mare d’Irlanda attraversò il British Channel per attaccare il re di Britannia Morbidus, tanto valoroso in battaglia quanto crudele e instabile nei suoi scoppi d’ira.

La terribile bestia, descritta come “enorme e orribile” attaccò le città costiere, divorando indifferentemente donne, uomini, bambini e animali. I sopravvissuti lasciarono gli insediamenti e si rifugiarono verso l’interno, sperando di sopravvivere alla fame del mostro.
Morbidus, a cui non mancava il coraggio, decise di affrontarlo da solo, per dare prova della sua bravura nelle arti della guerra.
Ma spesso il valore non si sposa con la saggezza.
Morbidus affrontò Bellua dapprima con un fitto lancio di frecce, indebolendolo, quindi lo caricò con la spada. Vibrò un colpo tanto forte che la lama si spezzò. Il mostro, ferito ma non ancora morente, lo inghiottì e lo divorò. Questa fu però la sua ultima razzia. Bellua cercò poi di trascinarsi verso il mare, verso la salvezza, ma spirò sulla spiaggia.

Fu così che morì Re Morbidus, provocando un lutto che colpì tanto il popolo, liberato dal leviatano grazie al sacrificio del loro sovrano, quanto i suoi baroni.

Se volete leggere la versione originale di questa cronaca, la trovate in A Collection of the Chronicles and Ancient Histories of Great Britain, Now Called Englanddello stesso Jean de Wavrin.

Poi chiedono dove uno prende le idee…


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Le Sirene, divoratrici di marinai

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sirene

Vi propongo oggi un articolo nato inizialmente come guest post per l’amico blogger e saggista Marco Valle. Il suo blog, McGlen’s Mysteries, è fermo da un po’, ma spero che prima o poi ricominci con gli aggiornamenti, perché mi piace il suo approccio col folklore e con la criptozoologia, senza mai sbilanciarsi troppo verso il la facile credulità che piace tanto al popolino.
Il post in questione analizza una delle figure leggendarie che più mi affascinano, la sirena. Come vedrete siamo molto, molto lontani dallo stereotipo disneyano che la parola “sirena” evoca nei pensieri dei non addetti ai lavori.
Ma non mi dilungo ulteriormente, lasciando spazio all’articolo in sé (che magari, presto o tardi, sarà la base di un mio racconto a tema).

Le Sirene

Nel campo della criptozoologia è senz’altro più facile trovare clamorose bufale o straordinarie leggende metropolitane che non reali casi di animali non ancora catalogati dalla scienza ufficiale. Un tempo l’interesse per lo strano, il bizzarro e il mostruoso era molto più spiccato rispetto a ora, complice l’esoticità di luoghi – di terra e di mare – che risultavano essere ancora quasi del tutto inesplorati. Uno dei casi più eclatanti di hoax criptozoologiche riguarda la Sirena delle Fiji. Nel 1842 l’espositore britannico J. Griffin arrivò a New York portando con sé una presunta meraviglia della natura: una vera sirena. Raccontava di averla acquistata in un non meglio precisato villaggio vicino alle isole Fiji (da qui il nome affibbiato alla creatura).
Il dottor Griffin intendeva trasportarla in patria, per esporla al Museo di Storia Naturale di Londra. Il clamore che però suscitò con quelle dichiarazioni lo indussero a fermarsi una settimana a New York, mettendo il mostra la sirena e le altre bizzarre creature della sua collezione. Alla strana creatura si interessarono così tante persone che l’American Museum di New York decise di acquistarla con denaro sonante. Non è un dettaglio da poco ricordare che il museo era stato da poco rilevato da P.T. Barnum, celebre “ricercatore di stranezze”. La sirena venne quindi esposta per un altro mese. I cartelloni pubblicitari la rappresentavano con la classica caricatura dell’affascinante ragazza metà donna e metà pesce. In realtà la creatura era una vera e propria mostruosità, come scrissero i giornalisti dell’epoca.

sirena delle fiji

Barnum organizzò anche uno spettacolo itinerante, trasportando la sirena in tutti gli Stati dell’Unione, per soddisfare la morbosa curiosità del popolino, disposto a pagare per vedere quell’anomalia della natura. Proprio durante questo tour molti studiosi di storia naturale accusarono Barnum di truffa. Per alcuni si trattava di una scultura, ricavata assemblato la carcassa mummificata di un pesce col cadavere di qualche mammifero non meglio precisato (probabilmente una scimmia). Per altri la sirena era solo un freak, non una creatura leggendaria né tanto meno magica.
L’originale Sirena delle Fiji andò persa nell’incendio del Museo di Bernum nel 1860, ma una sua copia è in possesso dell’Harvard University, ed è esposta nel Peabody Museum of Archaeology and Ethnology. Eppure la Sirena delle Fiji è solo un minuscolo tassello di una leggenda che si tramanda da secoli, spaventando anche i marinai più esperti e meno superstiziosi. Se vi capita di udire un canto in mare aperto, allontanatevi prima di essere conquistati dalla strana melodia. Questo avvertimento valeva ai tempi delle trireme greche, e forse vale ancora oggi…

esibizione di sirene

Cosa sono le sirene?

Nate secondo i miti ellenistici dal sangue di Acheloo, dio dei fiumi, esse erano molto diverse da come oggi le immaginiamo. Il loro corpo era infatti costituito per metà dal corpo di una donna e per l’altra metà da quello di un uccello. A dimostrazione di ciò l’Odissea narra che in seguito all’inganno subito da Ulisse (il quale si fece legare all’albero della sua nave per poter ascoltare il loro canto senza poterle seguire), esse decisero di togliersi la vita gettandosi in acqua, cosa decisamente impossibile per un essere per metà pesce.

La mutazione che diede alle sirene il loro aspetto odierno avvenne nel II secolo d.C. Essa è probabilmente da attribuirsi alla diffusione del Cristianesimo che associò alla figura di questi esseri il male, l’incarnazione diabolica, da cui la perdita delle ali che solo gli angeli erano degni di avere. Un’altra teoria ipotizza invece che più banalmente questo passaggio sia frutto di un errore di trascrizione. In latino, infatti, la differenza tra pinnis (pinne) e pennis (penne) è di una sola vocale. L’errata trascrizione di un amanuense avrebbe perciò potuto indurre un disegnatore di un bestiario medioevale a dare alle sirene l’aspetto di donne-pesce che ancora oggi immaginiamo.

sirene alate
Sirene alate (o arpie?)

Volatili o acquatiche che siano, le sirene avevano come uno scopo nella vita quello di attirare i marinai col loro canto, inducendoli a schiantarsi contro gli scogli su cui esse vivono. Presumibilmente lo facevano per nutrirsi delle carni dei navigatori tanto sventurati da capitare nel loro territorio.
L’Odissea di Omero riporta un antichissimo avvertimento riguardo a questi bizzarri mostri.

Alle Sirene prima verrai, che gli uomini
stregano tutti, chi le avvicina.
Chi ignaro approda e ascolta la voce
delle Sirene, mai più la sposa e i piccoli figli,
tornato a casa, festosi l’attorniano,
ma le Sirene col canto armonioso lo stregano,
sedute sul prato: pullula in giro la riva di scheletri
umani marcenti; sull’ossa le carni si disfano.
(Odissea, Libro XII, traduzione di Rosa Calzecchi Onesti)

Se siete interessati all’argomento, vi consiglio di recuperare un dittico di docufiction estremamente ben realizzate (tanto che per settimane sono state scambiate, almeno da alcuni complottisti, per dei veri documentari scientifici). Si tratta di Mermaids: The Body Found (2011) e Mermaids: The New Evidence (2013). Ancora oggi ci sono dei creduloni che ne pubblicano alcuni stralci su YouTube, spacciandoli per verità nascoste da chissà quali gruppi di potere oscurantisti.

Resta il fatto che il fascino della leggenda delle sirene dura ancora oggi, immortale.

sirene 2


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Coming Soon: Tigre Blu

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Visto che a settembre/ottobre* uscirà il secondo racconto autoconclusivo ambientato nello scenario di Kaijumachia, introdotto nell’omonimo ebook (che trovate qui, al prezzo di lancio di 1,99 euro).
S’intitolerà Tigre Blu, e riprenderà una delle mie vecchie passioni, ovvero la ricerca del suddetto criptide. Per saperne qualcosa di più vi rimando a questo buon articolo pubblicato su io9 (ma io ho spaziato decisamente oltre quanto riportato dall’autore del post).
Oggi vi anticipo la copertina e la sinossi della novelette. La copertina è presentata da una mia nuova testimonial, Bloody Betty, una modella davvero bellissima. Trovate la sua gallery qui.
Se tutto va bene, entro l’inverno avrete anche il terzo ebook. Ma di questo riparleremo a tempo debito.

Mentre i Kaiju sfuggiti al controllo dei loro creatori devastano il mondo, c’è chi tenta di resistere e di salvare il salvabile.
La Russia, seppur colpita duramente dal passaggio di un paio di Kaiju, ha mantenuto parte della sua integrità territoriale.
Anzi, il Cremlino ha approfittato della situazione per vendicare dei vecchi torti. Per esempio ha fomentato un golpe in Georgia, mettendo al potere un fantoccio filo-russo.
Sul Caucaso alcuni irregolari georgiani hanno però fondato un movimento di resistenza.
Mosca non può tollerare la sua esistenza, tanto che invia un corpo d’intervento rapido, per sconfiggere i ribelli.
Ma sul Caucaso c’è un terzo incomodo.
Garuda, il Kaiju creato dall’India e ribellatosi a chi lo ha generato, è scampato al bombardamento nucleare anglo-americano su Roma e si è nascosto sul monte Elbrus. Il mostro è anche il portatore di un’infezione micotica di origine misteriosa, che ora rischia di espandersi in buona parte dei territori dell’Europa Orientale.
I parassiti generati dai rifiuti organici di Garuda, i Suparna, stanno prendendo possesso dei valici tra Russia e Georgia. Forse hanno formato un’innaturale alleanza con gli irregolari, o magari li hanno trasformati in qualcosa di diverso, di non umano.

Un’altra presenza si aggira per i boschi d’alta montagna: la leggendaria Tigre Blu, già cercata decenni prima dagli zoologi nazisti, e protagoniste delle leggende dei clan montanari del Samegrelo e della Svanezia.
Ma questo fiero criptide è amico o nemico dei Kaiju?
Lo scopriranno sulla loro pelle tre carristi del corpo d’intervento rapido, rimasti isolati dal resto della colonna.

* Non ho ancora deciso se farlo uscire prima o dopo Il Negromante e l’Ulano, quindi devo ancora stabilire l’ordine di pubblicazione delle due novelette.


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